CINQUANTENA


Cinquantena, ovvero una quarantena lunga, che dura finché vuole lei e nel frattempo tu devi fare ginnastica, il pane, leggere, cantare sul balcone e, soprattutto, sperare che finisca presto.

Se me lo avessero detto anche solo a dicembre 2019, quando baldanzosa mi imbarcavo sull’ennesimo aereo alla volta dell’Inghilterra, avrei detto che circolava della droga buona.

Se ci penso adesso, quell’aereo e quell’aria da furbetta mi sembrano immensamente lontane, mi rattristano e allo stesso tempo mi fanno arrabbiare, perché da presuntuosa credevo di sapere tutto, quando invece non sapevo niente.

E’ più di un mese che sono chiusa in casa – da privilegiata perché ho un tetto sopra la testa, cibo nel frigo e posso continuare a lavorare online – e come tanti passo molto tempo a pensare a come finirà, e soprattutto quando, e in assenza di risposte sono spesso e volentieri vittima di un grande sconforto e di una paura quasi informe, ma sempre presente. E’ una paura nuova: paura che non finisca mai per davvero, paura di non stare bene, paura che non stiano bene le persone che amiamo, e non vado oltre. 

Per fortuna a questi momenti se ne alternano moltissimi in cui si è produttivi e creativi (a volte anche ottimisti, giustamente), ma di certo riuscire a raggiungere un equilibrio anche solo minimamente duraturo, in questi giorni è veramente difficile per me, come credo sia un po’ per tutti.

Peraltro, io parlo da persona fortunata: riservata come sono, abituata a passare molto del mio tempo libero in casa, non faccio fatica a limitare le mie giornate tra le mura domestiche, o perlomeno è qualcosa che riesco gestire senza grossi problemi, per ora. Come in tutte le situazioni della vita, è anche questione di carattere, per questo sono sicura che quello che mi sta aiutando tanto è questa mia indole un po’ selvatica, “sarvega” come diceva mia madre in genovese.

Chi l’avrebbe mai detto che questo lato del mio carattere mi sarebbe tornata utile fino a questo punto? Proprio vero che nella vita non si può mai sapere. 

Tuttavia anche la solitudine chiede qualcosa in cambio, neanche lei fa niente per niente, soprattutto quando i momenti di “down” prendono il sopravvento e non c’è nessuno a metterti una mano al profumo di alcool sulla spalla o a dirti – con la bocca coperta dalla mascherina – “ce la faremo, vedrai”. In quei momenti l’amore della persona in oggetto, lo devi scovare tra le micro espressioni degli occhi, dalla mimica facciale parzialmente visibile, visto che il labiale non lo puoi leggere.

“A me gli occhi!”

Forse impareremo a non farci più fregare dalle parole, o a farci fregare un po’ meno, a leggere le espressioni del viso, e quelle piccole ma inconsce smorfie che dicono la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità.

In questi momenti è fondamentale trovare qualcosa da fare, possibilmente qualcosa di dinamico che ci nutra fisicamente e mentalmente.

Una delle cose che paradossalmente ho ripreso a fare da quando sono in cinquantena è andare in palestra tre volte alla settimana: la mia palestra è gratis, vanta una sola iscritta e si trova tra il mobile del salotto e il divano, quest’ultimo tatticamente posizionato per salvarmi da cadute o perdite di equilibrio repentine soprattutto in concomitanza con posizioni yoga improponibili. 

La fortuna che questa quarantena sia capitata in un periodo storico che ci mette a disposizione contenuti audio/video gratis non è certamente da sottovalutare, teniamolo a mente, viziati come siamo.

Il pane lo fanno tutti, e qualche volta lo faccio anche io, ma quando tempo fa, al supermercato, mi sono resa conto che la farina era finita e lo scaffale era completamente vuoto, ho provato quel peso sul cuore che conosciamo bene tutti in questo periodo.

Gli scaffali vuoti del supermercato credo siano l’immagine simbolica più efficace per rappresentare il panico e spesso la follia prodotti da questa pandemia: il senso di desolazione, frustrazione e rabbia che generano in ognuno di noi in una situazione così ordinaria come andare a fare la spesa, sono i sentimenti chiave che tra molti anni racconteremo alle future generazioni.

“I supermercati furono presi d’assalto, la gente, come impazzita prima litigava e poi passava ai fatti e si picchiava. Non trovavi alcool nemmeno a pagarlo oro, non trovavi disinfettante né lievito, figuriamoci le mascherine. Quelle, forse, le trovavi al mercato nero, forse”.

Il pane, dicevamo. Perché in tanti facciamo il pane in casa? Perché non possiamo uscire a comprarlo tutte le volte che vogliamo mangiarlo fresco, certamente, perché il pane caldo appena sfornato è buonissimo, ma forse anche per un’altra ragione: l’atto di impastare porta con sé un senso di creazione, di possibilità di dare forma concreta ad un’idea. E’ un modo neanche troppo metaforico per esprimere quella parte di noi che ha bisogno di plasmare il proprio futuro e di essere nutrita mentre lo fa.

Oliver Sacks, un famoso neurologo e scrittore, in uno dei suoi libri in poche parole diceva che l’essere umano ha bisogno di poter pensare al futuro e di sperare, perché vivere day by day, è qualcosa che non ci appartiene. Secondo lui abbiamo bisogno di trascendere, di comprendere e di superare i nostri limiti, per questo studiamo l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

Questo momento ci ha portato via, temporaneamente, non solo la capacità di focalizzare il nostro futuro, ma la possibilità di farlo, a suon di decreti e restrizioni necessari per non farci ammalare e, nel caso peggiore, morire.

E’ una privazione che ci fa male, e tanto, ma c’è da augurarsi che ci serva a fare due cose fondamentali:

1) saper distinguere tra una umana spinta verso il domani e la superbia che ci ha portati a ritenerci imbattibili e migliori di qualunque altro essere;

2) ammettere che se un dio esiste, comunque lo immaginate – se lo immaginate – di sicuro non è nessuno di noi.

Se, come me, volete iscrivervi ad una super esclusiva palestra , vi lascio un paio di link utili (spero vi piacciano, a me tra tantissime offerte su YouTube, sono sembrati tra i più interessanti). Buon allenamento!

http://www.fixfit.com

http://www.lascimmiayoga.com

Se volete leggere qualcosa di Oliver Sacks, tra le sue opere più conosciute:

“L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” – Adelphi

“Risvegli” – Adelphi

“Allucinazioni” – Adelphi

Alla prossima, stiamo a casa, stiamo al sicuro.

Un commento

  1. Sei tornata zolletta del mio corason!!! Leggerti è una gioia immensa e la gioia più grande ora sarebbe abbracciarti … le tue parole e i tuoi pensieri Li ho apprezzati come sempre.
    Finirà la cinquantena Amica mia, ma tu non smettere di scrivere … ailovviu

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